Addio PIETRO MENNEA, IL RE DEI 200

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elpampos
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Addio PIETRO MENNEA, IL RE DEI 200

Il più grande velocista italiano di tutti i tempi si è spento a Roma, da tempo lottava con un male incurabile. Medaglia d'oro nei 200 alle Olimpiadi di Mosca '80, è stato primatista mondiale della specialità per 17 anni con 19"72, tutt'ora record europeo.

Il mondo dello sport è in lutto: è scomparso Pietro Mennea. Il più grande velocista della storia dell'atletica italiana, primatista mondiale dei 200 metri piani dal 1979 al 1996 con il tempo di 19"72, tutt'ora record europeo, medaglia d'oro nella specialità alle Olimpiadi di Mosca del 1980. È morto stamattina in una clinica a Roma, avrebbe compiuto 61 anni il prossimo 28 giugno, era malato da tempo.

Appresa la notizia della morte del Campione, il presidente del Coni Giovanni Malagò, ha disposto l'allestimento della camera ardente per oggi pomeriggio, nella sede del Coni, a Roma. I funerali di Pietro Mennea saranno celebrati a Roma sabato 23 marzo, alle ore 10, nella basilica di Santa Sabina, nell'Aventino. Lo ha reso noto a Barletta la famiglia dell'ex olimpionico azzurro.

"La freccia del sud", come era chiamato, è stato il più grande velocista della storia dell'atletica italiana: nella sua straordinaria carriera, è stato il primo atleta al mondo a riuscire nell'impresa di arrivare in finale alle Olimpiadi in quattro edizioni consecutive (da Monaco '72 a Los Angeles '84). Ha conquistato un oro e due bronzi olimpici, un argento e un bronzo ai Mondiali, tre medaglie d'oro, due d'argento e una di bronzo ai campionati europei. Il suo 19"72 sui 200 metri piani è tuttora il record europeo ed italiano, così come resiste ancora il suo primato nazionale di 10"01 sui 100 metri, stabilito sempre nel suo anno d'oro, il 1979.

Un italiano che ha segnato la storia dell'atletica azzurra, dal carattere schivo, nato nel sud Italia da una famiglia modesta con la determinazione tipicamente meridionale che lo ha reso forte, il più forte fra i velocisti italiani e non solo. Ma nella vita di Pietro Paolo Mennea, nato a Barletta, il 28 giugno 1952 non c'è solo la pista dell'atletica che lo ha reso famoso in tutto il mondo, ma anche la professione di avvocato e la politica.
Terzo di cinque figli, dopo le medie si iscrisse a ragioneria, poi proseguì gli studi all'I.S.E.F. A 15 anni, su uno stradone di Barletta, sfidava in velocità una Porsche color aragosta e un'Alfa Romeo 1750 rossa: a piedi, sui 50 metri, batteva l'una e l'altra e guadagnava le 500 lire per pagarsi un cinema o un panino.
Figura centrale nella vita di Mennea è stato il suo professore di educazione fisica ai tempi delle medie, Alberto Autorino, suo pigmalione, fu lui a indirizzare il futuro recordman mondiale verso l’atletica leggera.
Si è laureato a Bari una prima volta in scienze politiche ma ha conseguito anche le lauree in giurisprudenza, scienze dell'educazione motoria e lettere.

Mennea ha anche esercitato ottimamente la professione di avvocato e di dottore commercialista, ed è autore di ben 20 libri. Mennea è salito anche in cattedra: è stato docente a contratto di Legislazione europea delle attività motorie e sportive presso la Facoltà di Scienze dell'Educazione Motoria dell'Università "Gabriele d'Annunzio" di Chieti - Pescara.
Nel 2000 l'Università degli Studi dell'Aquila, dove aveva vinto un concorso a cattedra, gli propose l'assunzione che però divenne incompatibile con la sua attività politica di membro del Parlamento europeo (è stato a Bruxelles dal 1999 al 2004), e gli chiese le dimissioni da quest'ultimo. La vicenda suscito' molte polemiche con interrogazioni parlamentari, ma l'allora Governo Amato diede ragione all'Università.

Dal gennaio 2006, insieme alla moglie Manuela Olivieri aveva costituito la Fondazione Pietro Mennea Onlus a sostegno delle persone meno fortunate.
Numerosissimi i progetti di beneficenza e solidarietà finanziati nell'arco di questi anni, con un occhio di riguardo rivolto alle malattie neurodegenerative ma anche alla cultura, per diffondere i valori dello sport e promuovere la lotta al doping, un nemico da sempre combattuto con tutte le forze.

Al più grande velocista italiano, in occasione delle olimpiadi di Londra del 2012 è stata dedicata la stazione della metropolitana della capitale Britannica di Kensigton.
Ma la dedica, il ricordo più bello per Pietro Mennea arriva nel pomeriggio della sua morte: le Ferrovie dello Stato Italiano hanno deciso di intitolare a lui il primo Frecciarossa 1000 che sarà in grado di raggiungere i 400 kmh, primo esemplare in tutta europa.



GLI INIZI
Tutto era iniziato a Barletta, con la società sportiva locale Avis, seguito dal professore Franco Mascolo, che in quegli anni era il responsabile del settore atletica leggera. E’ il 1965 e la “Freccia del Sud” ha tredici anni. Tutti si allenano in riva al mare, lui inizia nel gruppo dei marciatori. I maestri però si stupiscono subito e notano che ha qualcosa in più nelle gambe: la forza e la resistenza durante le salite sulle mura “a mare”. E così, in via della Marina, il suo destino cambia, e passa insieme ai velocisti.
Un anno dopo il record del mondo in Messico, Mennea torna proprio nei luoghi dove era cominciato tutto, e sulla pista del nuovo stadio comunale “Cosimo Puttilli” (che a lui invece adesso sarà intitolato) segna un altro record sui 200, quel 19"96 post olimpico, record del mondo a livello del mare, che gli durerà per altri tre anni, dal 1980 al 1983.

Negli anni successivi, la Scuola dello Sport di Formia divenne la sua prima casa. Qui, Mennea divenne "La Freccia del Sud". Lui con quella tuta blu della nazionale che portava larga e il professor Vittori con il cronometro in mano. Le mille ripetute sui 150 metri, gli allenamenti durante le feste di Natale, di Pasqua e di Capodanno. L’atletica era la sua vocazione, il terreno su cui aveva scelto di spremere se stesso, come disse lui in una delle tante biografie: “da quando non contavo nulla a quando una gara era diventata un esame”. E che esami! Vinti, stravinti, sempre con qualche retroscena alle spalle, sempre riempito di un’insicurezza che si trasformava in forza della natura. La natura di uomo normale che s’era messo a sfidare i marziani.


Mennea debuttò sulle piste di atletica a livello internazionale nel 1971 ai Campionati europei con un terzo posto nella staffetta 4x100 metri e un sesto nei 200 metri. Poi venne Monaco di Baviera, i Giochi olimpici del 1972, dove raggiunse la finale dei 200 m, la specialità nella quale era più forte. Arrivò terzo dietro il russo Valerij Borzov e all'americano Larry Black.
Ai Campionati europei del 1974, Mennea vinse l'oro nei 200 m davanti al pubblico di casa di Roma, e si piazzò secondo nei 100 m (dietro a Borzov, suo rivale storico) e nella staffetta veloce. Nel 1976 Mennea decise di saltare i Giochi olimpici, ma il pubblico italiano protestò e Mennea andò a Montreal. Riuscì a qualificarsi per la finale dei 200 m, ma vide l'oro finire nelle mani del giamaicano Don Quarrie, mentre lui finì ai piedi del podio, quarto. Lo stesso risultato, mancando di poco il bronzo, venne raggiunto nella staffetta 4x100 metri. Nel 1978, a Praga, difese con successo il suo titolo europeo dei 200 m, ma mostrò le sue doti anche sui 100, vinti anch'essi. In quell'anno si aggiudico' anche l'oro nei 400 metri piani agli europei al coperto.

IL RECORD DEL MONDO
Ma per scrivere la storia, bisogna aspettare Città del Messico e le Universiadi del '79, alle quali Mennea vi prese parte in qualità di studente di scienze politiche.
Quel 12 settembre del 1979, il 27enne di Barletta decise che si potevano correre i 200 metri alla velocità della luce: record mondiale e medaglia d'oro al collo. Da quel giorno il tempo di Mennea non fu mai più raggiunto da un atleta del vecchio continente, mai più da un bianco. Ci vollero invece ben 17 anni perchè l'impresa di togliere a Mennea il record mondiale riuscisse a un afro-americano, Michael Johnson, il 23 giugno del 1996. È tutt'ora primato europeo, dopo quasi 34 anni. La gara dei 200 metri è quella che, storicamente e statisticamente, fornisce le migliori prestazioni sulla velocità pura. Per questo Pietro Mennea è stato considerato l'uomo più veloce del creato, potendo vantare una media, sulla distanza, di 36,51 km/h. Partenza lenta, sensazione di non potercela fare in curva, con la spalla sinistra più bassa per contenere la sbandata, e poi una progressione irresistibile con quel suo modo di correre, tignoso e rabbioso, negli ultimi 50 metri, talmente irresistibile da consentirgli di tagliare il traguardo con 4 metri di vantaggio sul secondo, il polacco Lazek Dunecki. Quel record (favorito da un vento a favore di 1.8 metri) resistette per ben 17 anni, ma va tenuto conto del fatto che fu ottenuto correndo a oltre duemila metri di quota, quindi con l'aria rarefatta, come del resto il precedente primato stabilito da Tommie Smith sempre a Città del Messico. Quella corsa, quel giorno, il 12 settembre 1979, raccontata in diretta tv dalla voce travolgente e incredula del grande telecronista Paolo Rosi, emoziona ancora oggi.



L'ORO OLIMPICO
L'anno dopo, Mennea sfidò il mondo alle olimpiadi di Mosca nel 1980, facendo impazzire l'Italia e vincendo la medaglia d'oro davanti ai mostri sacri di colore e dell'Est. Nella finale olimpica dei 200, Mennea affrontò il campione uscente Don Quarrie e il campione dei 100 m Allan Wells. Wells sembrava avere la vittoria in tasca, ma l'italiano, si avvicinò a lui e mise la "freccia" superandolo negli ultimi metri e vincendo l'oro per due centesimi di secondo. L'Italia imparò così a conoscere un grande campione. In quell'olimpiade vinse anche il bronzo con la staffetta 4x400 metri.



Nel 1981, la "freccia del Sud" annunciò il suo ritiro concedendosi più tempo per lo studio. Ma poi, prese parte agli europei gareggiando però solo nella 4x100 che arrivò quarta. Il 22 marzo 1983 stabilì il primato mondiale (manuale) dei 150 metri piani, con 14"8 sulla pista dello stadio Comunale di Cassino: questo primato è ancora imbattuto, perchè il tempo di 14"35 stabilito il 17 maggio 2009 da Usain Bolt a Manchester non è stato omologato dalla Federazione in quanto stabilito su pista rettilinea. Partecipò alla prima edizione dei mondiali che si svolse ad Helsinki dove vinse la medaglia di bronzo nei 200 e quella d'argento con la staffetta 4x100. Un anno dopo, scese in pista nella sua quarta finale olimpica consecutiva dei 200, primo atleta al mondo a compiere tale impresa. In quest'occasione, anche se campione uscente, terminò al settimo posto e, a fine stagione, si ritirò dalle competizioni per la seconda volta. Ma il vero ritiro giunse alle Olimpiadi di Seul nel 1988, sempre nei 200, dopo aver superato il primo turno delle batterie. A Seul fu anche il portabandiera della squadra azzurra.




Il primato a Città del Messico nel 1979, raccontato da Gianni Minà per la Rai




L'oro olimpico di Mosca 80, nella telecronaca originale di Paolo Rosi




Mennea tecnicamente era caratterizzato da partenze lente con accelerazioni progressive che poi, soprattutto nei 200 metri si concludevano con splendide rimonte come accadde a Mosca. Sempre grazie alla sua eccezionale velocità di punta, le ultime frazioni e le relative rimonte di Mennea nella 4x100 (nelle quali partiva lanciato) erano impressionanti per la superiorità sugli altri atleti.

"Per battere il tempo devi soffrire". Lo diceva sempre Pietro Mennea. I suoi successi erano frutto della fatica, di una vita fatta di sacrifici, impegno, testardaggine. Il più grande velocista italiano di tutti i tempi correva con la rabbia dentro, sin da quando lo faceva in strada gareggiando con le auto. La sua crescita sportiva è stata sempre lenta e costante. Anni di allenamenti sotto la guida di Carlo Vittori, con tabelle scritte e riscritte che stupivano gli altri atleti e i tecnici. Sempre in pista, sempre deciso, 350 giorni all'anno di fatica.
Un inno alla sofferenza, come lo descrive Livio Berruti, medaglia d'oro nei 200 metri all'Olimpiade di Roma 1960, determinato, feroce, un asceta dello sport. Non era bello da vedere, non correva per lo spettacolo. Correva per vincere, per battere se stesso e i suoi avversari. Aveva 27 anni quando nel 1979 a Città del Messico, alle Universiadi, fermò il cronometro a 19.72. Record del mondo, un record durato 17 anni. Lo racconta in uno dei suoi libri: "Ero alla ricerca di un tempo, troppe volte perduto. Pensai fosse la volta buona. Remai un po' in curva, controllai la sbandata all'entrata del rettilineo, non smisi di spingere, stavo andando 36 km all'ora con le mie gambe. Corsi i primi 100 in 10.34, i secondi in 9.38, Il pubblico urlò, ma non ero sicuro. Non c'erano tabelloni elettronici allora. Mi girai, l'unico cronometro era alla partenza. Guardai le cifre, forse avevano sbagliato anno? Eravamo nel '79 non nel '72, mi vennero tutti addosso".
Una vita fatta di record, di vittorie, di sfide, di amicizie costruite sul reciproco rispetto come quella con il grande avversario Valeri Borzov che riuscì a Mosca nell'80 a fargli scattare la voglia dell'impresa: quell'oro olimpico sui 200 vinto con un'incredibile rimonta festeggiata con il ditino alzato. Perché per lui quella era l'occasione della vita. La medaglia più ambita e cercata. Non l'unica.
Nella sua lunga carriera (ha partecipato a ben cinque olimpiadi e per un velocista rappresenta un record) ci sono anche quattro titoli europei, un argento e un bronzo ai Mondiali oltre ad altri due bronzi olimpici. Il primato italiano ed europeo dei 200 è ancora suo, così come il record italiano dei 100. Significativa la risposta data a Cassius Clay che si stupisce che sia bianco quando gli viene presentato come l'uomo più veloce del mondo: "Sì, ma sono nero dentro".
Di Mennea rimane tanto, la schiettezza, la semplicità, la voglia di migliorarsi sempre, pur restando con i piedi per terra. Lo testimoniano le sue parole, che valgono: "5482 giorni di allenamento, 528 gare, un oro e due bronzi olimpici, più il resto che è tanto. A 60 anni non ho rimpianti. Rifarei tutto, anzi di più. E mi allenerei otto ore al giorno. La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni".




Il ricordo di Carlo Vittori

Carlo Vittori è stato l'allenatore di Pietro Mennea. Lui ho ha lanciato, con lui ha passato gran parte della sua vita: "Di Pietro ho un ricordo lungo una vita, che non posso dimenticare. Lo vidi correre per la prima volta ai Campionati italiani giovanili, sulla pista di Ascoli Piceno, nel 1968, nei 300 metri: lì capii che era un talento naturale, una forza della natura. Lo conobbi nel 1970, quando il suo allenatore Mascolo lo portò a Formia. Pietro ha tracciato la vita metodologica del training, smentendo con i fatti i timori che un velocista si potesse allenare poco, magari solo perchè era stato dotato da madre natura. Pietro ha invece dimostrato che, allenandosi in maniera meticolosa, poteva migliorare. Le doti che gli riconosco sono l'impegno e la testardaggine: era davvero un martello pneumatico. Un esempio? Se per caso arrivavo con 5 minuti di ritardo all'allenamento, si faceva trovare con il dito indice che batteva sull'orologio. E questo accadeva anche dopo nove o 10 anni di attività».
Un uomo che amava lo sport, tanto da trasformarlo in una ragione di vita. Un campione dentro e fuori la pista: "Ma forse anche di più. Aveva un eccesso di senso della responsabilità, secondo me questa era addirittura una sua debolezza, che lo spingeva ad andare oltre. Mennea avrebbe dovuto vincere anche le Olimpiadi del '76 (a Montreal, in Canada): una settimana dopo a Viareggio, infatti, stabilì il record italiano con un tempo inferiore a quello dell'olimpionico Don Quarrie". Pietro Menna uomo, ma anche "macchina umana nel vero senso della parola, con la sua componente temperamentale, caratteriale e psichica. Che gli ha permesso di sfruttare strade nuove e considerate impercorribili, nel periodo in cui i tempi passavano dal rilevamento manuale a quello elettronico. Si arrabbiò molto quando realizzò il record italiano a Smirne, durante i Giochi del Mediterraneo, in 20.65, poi arrotondato a 20.70".


Il ricordo di Sara Simeoni

Sara Simeoni, campionessa olimpica anch'essa a Mosca nell'80 ed ex primatista mondiale del salto in alto, ricorda così Pietro Mennea, compagno di pista inseparabile di quegli anni: «Il ricordo di Pietro è quello di un ragazzo che faticava: eravamo solo noi due a Formia ad allenarci e abbiamo condiviso la fatica. Ci siamo incoraggiati a vicenda, senza tanti giri di parole, bastava guardarci negli occhi. In ogni caso abbiamo intrapreso un percorso molto bello. I risultati li abbiamo costruiti lì, su quella pista, a Formia, giorno dopo giorno. Pietro era un personaggio di una tenacia incredibile, i risultati ottenuti sono la logica conseguenza di questa sua grande volontà di arrivare dove altri non sarebbero arrivati. Lui aveva la voglia di riscatto tipica del ragazzo del Sud, io invece mi affermavo come donna in un momento in cui saliva alla ribalta il femminismo. Ma eravamo ragazzi normali, a cui lo sport ha insegnato tanto.
Abbiamo cominciato insieme nel 1970, agli europei giovanili di Parigi. Da lì è iniziato il nostro percorso. Io e Piero eravamo due atleti fuori moda: caparbi, sinceri, due che non si adeguano. Lui anche più di me. Aveva un carattere tenace, caparbio, mai soddisfatto di quello che riusciva a fare, ha sempre pensato di poter fare qualcosa in più, e questo lo ha portato ad avere i grandi risultati che ha ottenuto. Eravamo spesso soli perché gli altri ragazzi venivano ad allenarsi solamente quando c’erano gli appuntamenti più importanti. L'atletica in quegli anni era un fai da te, sia lui che io ci siamo costruiti con il nostro carattere e il nostro lavoro. Siamo stati importanti l'uno per l'altra: guardare lui allenarsi era stimolante per me nei momenti difficili, così come lo sono stata io per lui, con i miei risultati. C'era grande apprezzamento dell'uno verso l'altra, per quello che stavamo costruendo. Se n'è andato un pezzo della mia vita».




Addio CAMPIONE.






Edited by elpampos - 27/3/2013, 20:04
 
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vayiolet.ta
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:grazie%20(21).gif: PER AVER MESSO QUESTO POST A RICORDO DI UN GRANDE

 
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elpampos
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Era il minimo ke potessi fare x una grande leggenda italiana dello sport!
 
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skearti
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grande el un bel post x un grande uomo

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